Genere: rock demenziale

Affluenza: ****

Qualità musica: *****

Spirito rock: *****

Demenza: *****

Qualità drink: ***

Io sono uno skianto, se decido che vengo, non è detto che canto.

Il 2 aprile del 1979 al Palasport di Piazzale Azzarita ebbe luogo l’evento degli Eventi, il “Bologna Rock: dalle cantine all’asfalto”.

A quei tempi Bologna, come un po’ tutta la nazione, viveva musicalmente una fase di ristagno. L’impulso selvaggio e sognatore degli anni ’60 era morto e sepolto e anche l’onda del progressive era già in fase calante. In Italia eravamo nel periodo del riflusso, dei cantautori e della canzone “di protesta”.

Però a Bologna stava sbocciando un manipolo di complessi che inaugurò una nuova rivoluzione musicale, sbirciando un po’ il punk inglese, un po’ la no-wave americana, ma senza rinnegare la bolognesità casereccia delle origini e creando, in questo modo, un connubio assolutamente peculiare che lasciò un segno indelebile nella cultura musicale giovanile.

Un giorno ad un signore alto, coi baffi e l’aria sorniona tipica dello studente di musica elettronica degli anni ’70, – presente uno studente di musica elettronica degli anni ‘70? – venne in mente di organizzare un festival new-wave che rappresentasse tutti i protagonisti di questa freschissima scena di rock alternativo. Nacque così il “Bologna Rock”.

Il richiamo che generò l’evento fu considerevole. Più di 6.000 paganti si presentarono, per lo più teppisti, tutti spettinati, ma anche musicisti, giornalisti, personaggi televisivi, semplici curiosi… E non solo dall’Emila Romagna, ma da tutta Italia e anche dall’estero. In mezzo a loro – come si narra nella saga – si trovava anche qualcuno dei primissimi coraggiosi puddisti, i pionieri, ricordati non a caso come Avanguardia Puddista, avvolta ancora oggi da una nube di leggenda.

Quel giorno, insieme alla creme del neo-rock bolognese, avrebbero dovuto suonare anche gli Skiantos ma, come ormai chiunque avrà sentito raccontare, non lo fecero. Preferirono spiazzare tutti, come da tradizione, apparecchiando una tavolata sul palco e mettendosi a cucinare una pastasciutta.

Buona parte del pubblico conosceva bene gli Skiantos ed era preparata a rispondere alle loro provocazioni, molti erano arrivati con lattuga, farina, uova e gavettoni da lanciare al gruppo. La situazione era già di per sé piuttosto esplosiva, ci mancava solo che i nostri si mettessero a prenderli per il culo facendosi una spaghettata alla faccia loro. In pochi minuti il Palasport si trasformò in un Inferno, sul palco venne lanciato l’universo intero, i cavi si inzupparono di liquidi vari rischiando di far saltare tutto per aria, Skiantos compresi, un gavettone planò sul mixer 24 piste danneggiandolo, e qualcuno dei tanti esagitati che inveivano contro il gruppo, tentò anche di ribaltarlo definitivamente. Non fu molto di aiuto, in quel contesto, la celebre frase che Freak proferì ad un pubblico sempre più inferocito nel tentativo di rabbonirlo: “Non capite un cazzo, questa è avanguardia. Siete un pubblico di merda!”

40 anni dopo, il 7 dicembre 2019, L’agenzia “Panico Concerti” e il “Teatro Polivalente Occupato” organizzano l’anniversario di quel decisivo momento storico, richiamando ad esibirsi sul palco le vecchie glorie che hanno vissuto in prima linea quella stagione, ma anche artisti più giovani, tutti associati da almeno una requisito: esserci rimasti sotto con gli Skiantos e con la dottrina demenziale.

Ad un evento di tale portata non può certo mancare il Profeta Puddu, considerando che lui stesso oggi non sarebbe qui a scrivere, se il suo cammino non avesse incrociato quello del Poeta Freak Antoni. Così, in compagnia della colonna puddista imolese al completo, capitanata da Marco Avicenna il Cerusico e da Toni Marsiglia, raggiungiamo il capoluogo attorno alle 20,30, sganciamo 15 sacchi e varchiamo i cancelli del TPO.

La festa è già cominciata, ci siamo persi la proiezione di antichi filmati registrati durante la spaghetti performance e un paio di complessi che hanno già suonato. Nel cortile esterno ci acclimatiamo agevolmente in un interessante ambientino popolato da teste calde, molto cariche per la serata e plachiamo le nostre paure, relative all’approvvigionamento di cibo, alla vista di una brulicante cucina attrezzata per sfornare pizze. Dopo una più attenta panoramica notiamo anche diversi simboli del Puddismo affissi un po’ dappertutto.

Scambiamo due chiacchiere con Moreno, oggi in veste di spettatore ma nella vita leader degli Avvoltoi, gruppo che già in più occasioni abbiamo avuto modo di sostenere durante i loro divertenti concerti dal sapore retrò al Sidro Club, a ritmo di beat e psichedelia.

Poi incrociamo un altro signore, alto, coi baffi, l’aria un po’ sorniona tipica del bolognese di mezza età che ne ha viste tante, – presente il bolognese di mezza età che ne ha viste tante? – ma con una particolare aura che lo distingue subito per carisma e personalità. Gli stringo la mano con reverenza e gratitudine.

So bene che, senza di lui, tutto questo non sarebbe esistito.

E non parlo solo della festa di stasera, ma proprio di buona parte della scena e di quel momento irripetibile, quell’esplosione magica di follia e creatività che, alla fine degli anni ’70, ha trasformato Bologna in una polveriera in subbuglio, epicentro artistico di una fervida controcultura imbevuta non solo di musica, ma anche di letteratura, filosofia, cinema, grafica, fumetti e tanto altro.

C’era lui dietro l’organizzazione del Bologna Rock del 1979, c’è lui dietro l’organizzazione del Bologna Rock del 2019.

Si tratta di Oderso Rubini, patrono della Harpo’s Bazaar, scopritore di talenti, “uomo in più”, amico, confidente, fonico e produttore di complessini tipo Skiantos, Gaznevada, Confusional Quartet, Johnson Righeira, The Stupid Set, Neon, Kirlian Camera… Mi invita ad entrare, per osservare di persona tutti gli ospiti che è riuscito a trascinare al TPO per questo anniversario. Accettiamo il consiglio e ci dirigiamo sotto il palco per goderci lo spettacolo.

Ai vecchi punk-rocker Windopen (che con gli Skiantos condivisero la prima cantina utilizzata come sala prove) – i quali hanno naturalmente riproposto la loro hit più conosciuta “Sei in banana dura” – si alternano sul palco i pesaresi Camillas.

Al trio bolognese e tutto femminile delle Sbarbine succedono Andy Nevada e Billy Blade, fondatori dei Gaznevada, probabilmente i più importanti e i più stimati protagonisti di quell’epopea, coloro che hanno aperto le porte al mercato internazionale. Il “Bologna Rock” fu uno spartiacque anche per loro. Fu esattamente dopo quel concerto che presero definitivamente distanza da ogni ideologia e si dedicarono in tutto e per tutto alla musica, diventando la band di riferimento in quel passaggio dal punk dinamitardo di “Mamma dammi la benza” alla fredda fantascienza tinta di noir che guardava ai Contortions, agli Ultravox e a Lydia Lunch.    

Poi è il momento dei Confusional Quartet, l’ala colta e strumentale della scena, interpreti di un frizzante ed eccentrico ibrido che frullava rock-jazz, latino-americano, elettronica, improvvisazione e ritmiche disorientanti.

Nevruz, conosciuto dal Puddismo a Imola, sempre di supporto agli Skiantos, infine Johnson Righeira, Mr. Vamos A La Playa, colui che trovò la fama negli anni ’80 ma senza mai dimenticare la sua estrazione settantasettina. Oltre ad aver cantato stralunati brani sintetici a cavallo fra pop e futurismo, Johnson fu anche uno dei primi in Italia a realizzare una fanzine punk, per poi arrivare al successo planetario con i Righeira.

Intanto, nei passaggi vuoti tra un gruppo e un altro, comici e parolieri intrattengono il pubblico con delle gag coerentemente demenziali che provocano ilarità, ma nel complesso, in qualsiasi frangente della serata, si respira un ridente clima di festa, un po’ tra il circo e il teatro dell’assurdo, come se per qualche ora tutti i presenti fossero stati catapultati in un mondo parallelo, più libero e stimolante, un mondo dove si sogna anche di giorno, non solo di notte, dove la follia E’ il grado più elevato dell’intelletto, dove l’illogico, lo stravagante e il surreale sono dimensioni importanti e dove sembra veramente possibile realizzare ciò che un giovanissimo Freak Antoni auspicava, scrivendo: “Quello che possiamo pensare non è quello che necessariamente dovremmo pensare, perché già possiamo pensarlo. Ma quello che non siamo capaci di pensare, tutto ciò che è impossibile pensare… Quello sì che andrebbe veramente pensato.”

La performance degli Skiantos si apre con il loro minaccioso manifesto di autoaffermazione risalente al 1978 – “Io sono uno skianto” – e la serata di colpo cambia faccia!

I gruppi che si sono esibiti in precedenza hanno snocciolato una manciata di canzoni in tutto, con l’intento di rievocare i loro anni di massimo splendore, gli Skiantos, invece, suonano per oltre un’ora, ricordando a tutti che, dai tempi di “Inascoltable” ad oggi, loro ci sono sempre stati. Vivono di un burrascoso e caotico passato remoto, ma anche di un passato prossimo raffinato e audace, e di un presente disincantato e sperimentale. Hanno attraversato con ironia tutte le stagioni del rock (demenziale e non) fino ad essere divenuti, oggi, una band veramente mostruosa; tecnica, potente, navigata, in grado di coccolare il pubblico e allo stesso tempo di farlo riflettere, ma anche di scuoterlo, di schernirlo, di farlo ballare, pogare, ridere e commuovere rimanendo, in tutto questo, unica e inconfondibile. In poche parole: rimanendo gli Skiantos, il gruppo più originale, provocatorio e anticonformista di tutti i tempi.

L’uditorio, nel corso della notte, è esponenzialmente cresciuto e, quando tocca agli Skiantos, si è ormai tramutato in una folla copiosa, formata da giovani ma anche da vecchi, qualche nerd, tanti punk, scarriolate di disadattati, picchiatelli, fricchettoni, darkettoni, artisti, comici, scrittori, studenti, e naturalmente anche noi puddisti. Tutti con una cosa in comune: conosciamo ogni pezzo a memoria, parola per parola!

Di più: ogni frase di ogni brano è per noi una massima, un aforisma, un tormentone utilizzato almeno una volta durante l’arco delle nostre esistenze.

Gli Skiantos per molti non sono solo un gruppo. Non sono solo musica. Sono vita.

Per cui quando Dandy Bestia, fiero al centro del palco e in forma strepitosa, annuncia che partirà una serie di canzoni storiche, il pubblico non è che canta, ma proprio grida insieme agli Skiantos, ogni verso, ogni espressione, ogni sberleffo e ogni cazzata, tutti insieme, come in cerimonia.

“Makkaroni”, “Kakkole”, “Panka Rock”, “Mi piaccion le sbarbine”, “Karabigniere Blues”, e poi quelle dei tempi di mezzo, “Sono contro”, “Gli italiani son felici”, “Calpesta il paralitico”, fino a “Italiano terrone”, “Vitalizio” e alle ultimissime del nuovo Millennio.

Alla batteria Gianluca La Molla Schiavon, dopo una lunga esperienza prima nel blues e poi nel rock indipendente italiano. Al basso Max Magnus Magnani, artista precoce e poliedrico, approdato in casa Skiantos nel 2003. In prima linea il fedelissimo Luca Tornado Testoni, chitarrista virtuoso, e tecnico del suono, nonché fratello di Dandy Bestia, in formazione dal 1996.

L’ultimo eroe è il famigerato Roberto Granito Morsiani, batterista titolare dal 1989, ora passato al canto col nobile proposito di ridare vita e voce al suo fraterno amico, il compianto Freak Antoni.

Non lo fa per tutta la durata del concerto, a dire il vero. A turno salgono sul palco anche diversi ospiti che hanno chiesto di omaggiare il cantante. Uno, ad esempio, è Omar Pedrini! L’ex Timoria prende il microfono e ci regala un’intensa ed accorata interpretazione di “Largo all’avanguardia”. Compito tutt’altro che facile!

Spesso ai raduni puddisti qualche fedele imbraccia uno strumento e si mette a strimpellare brani degli Skiantos. Alcuni di questi, come ad esempio “Gelati” o la stessa “Largo all’avanguardia” paiono impossibili da riprodurre con la stessa intonazione di Freak. Quel suo stile indolente, dolce e strafottente allo stesso tempo, e quella voce vigorosa e stridula che sembra sempre a un soffio dalla stonatura dondolando attorno alla melodia, sono impossibili da plagiare. Mi è capitato di sentire anche qualche coglione al karaoke tentare invano di imitarlo, ma anche gruppi “seri” a volte ci provano, con lo stesso risultato. Perfino Dandy e gli Skiantos, che lo conoscono meglio di chiunque altro, faticano in questa impresa.

E’ stupefacente constatare come Omar Pedrini ci sia andato veramente molto vicino. Per lo stesso motivo devo fare i complimenti a Nevruz, del quale, nell’ultima occasione, scrissi di non sapere nemmeno chi fosse. Ebbene, dopo averlo visto intonare “Gelati”, trasportandola con abilità nel suo mood originario, posso dire di essere soddisfatto di aver scoperto questo interessante artista.

Nevruz non scimmiotta solamente, ci mette anche molto del suo. Mentre gli Skiantos sono impegnati a suonare come in stato di grazie, il ragazzo sputa fuori tutto: tecnica, energia, cuore, demenza, sostenuto da una presenza scenica davvero notevole. “Sono un ribelle mamma” è da pelle d’oca e l’ultimo pezzo da lui cantato è niente meno che “Eptadone”! E noi, a questo punto, non possiamo fare altro che scolare l’ultimo drink che abbiamo in mano e buttarci nella mischia, prima di andare alla stazione, scappare col furgone, mettere la prima… e ciao!

Ah, per concludere, un curioso aneddoto: Dandy Bestia, il mitico chitarrista che oggi guida la truppa con il carisma di Alessandro Magno, durante il “Bologna Rock” del 1979, in realtà non c’era. Era stato cacciato dal gruppo solo pochi giorni prima perché in quel periodo pare fosse sempre sbronzo e, di conseguenza, ingestibile da parte dei suoi compagni. Dandy non era sul palco, protetto da un impermeabile e da uno scolapasta in testa per difendersi dal lancio di oggetti del pubblico, come Freak, Jimmy, Sbarbo e tutti gli altri Skiantos. Quella sera non era sul palco, ma si trovava comunque al Palasport, un po’ per seguire le vicende dei suoi “ex” amici, un po’ con l’intenzione di imbattersi in qualche musicista di sua conoscenza per formare un nuovo gruppo.

Col senno di poi, noi puddisti ringraziamo il destino che quel giorno non gli ha fatto incontrare nessuno e che, quasi per caso, qualche anno dopo, lo ha fatto invece riconciliare con Roberto Freak Antoni.

Troppe cose, nel 1979, quei due dovevano ancora scrivere.